Psicologia

Il Corpo della Vergogna

Scritto da Cristiana Gallo

Una delle caratteristiche che contraddistingue le dinamiche narcisistiche è la dimensione della vergogna. La letteratura clinica sul narcisismo, infatti, segnala come l’atto del vergognarsi risulti essere tipico dei soggetti che hanno problematiche ed organizzazioni narcisistiche.

Quando si parla di tale condizione non si sta parlando di un’emozione. Piuttosto la stessa nasce dalla morale impartita al bambino dai genitori ed imperniata dai concetti di giusto e sbagliato. Nello specifico essa è una conseguenza dell’umiliazione derivante dal non essere considerati adeguati.

La vergogna ha, nella storia dell’adulto che ne paga le conseguenze, origini lontane. Più l’attacco al narcisismo infantile è precoce e protratto nel tempo più viene compromesso il processo di strutturazione di un Sé coeso e di un fondamento stabile di autostima. Questo sarebbe il motivo per cui gli effetti della vergogna appaiono così devastanti anche sugli adulti, si tratterebbe in ogni caso di adulti che non hanno potuto creare un senso saldo del proprio Sé.

Un bambino viene al mondo con una struttura narcisistica primitiva caratterizzata da sentimenti di onnipotenza, grandiosità e pulsioni di esibizionismo in cui non vi è nessun confine psicofisico.

In tale periodo ciò che il bambino vive ed esperisce fa pensare alla categoria del divino; se la sua struttura non viene sufficientemente accolta ed elaborata nell’ambito delle relazioni significative e primarie, rimane scissa dalla personalità cosciente conservando tutta la sua grandiosità  e le sue richieste di accettazione e riconoscimento, che proprio per il loro carattere totalitario e totalizzante espongono il soggetto alla vergogna.

La parte scissa della personalità grandiosa, che come suddetto conserva in numinosità tutta la sua potenza, nutre l’ideale dell’Io narcisistico che corrisponde al sentirsi speciale. Speciale come un Dio.

Una felice integrazione del narcisismo nel Sé adulto vede un adeguato soddisfacimento infantile per ciò che concerne il rispecchiamento da parte dei genitori e l’accoglimento di questi del processo di idealizzazione.

I genitori dovranno mostrarsi capaci di accogliere con accettazione, fiducia, orgoglio e ammirazione le manifestazioni esibizionistiche del proprio figlio in modo di permettere a quest’ultimo di introiettare un’immagine positiva di se stesso e di sviluppare le proprie potenzialità, rapportando il livello del proprio narcisismo alla realtà. Inoltre, i genitori dovranno sapere reggere la proiezione che il bambino attua rispetto al bisogno di fondersi con i suoi oggetti idealizzati ed avere un atteggiamento sereno e calmo, in modo da garantirgli la possibilità di interiorizzare principi e valori a cui aspirare realisticamente al riparo dall’angoscia.

Attraverso la graduale separazione dagli oggetti-Sé, ossia dalle rappresentazioni delle funzioni che l’oggetto ha svolto in favore del Sé, il narcisismo arcaico potrà gradualmente ridimensionarsi ed essere depotenziato, per esprimersi successivamente in e strutture e ristrutturazioni narcisistiche che permettono al soggetto adulto di poter fare progetti realistici, di sentirsi intimamente protetto e sufficientemente garantito dal rischio di eventuali frustrazioni o oltraggi inevitabili.

Contrariamente a quanto scritto fino ad ora, a fronte di disconferma costante della grandiosità naturale del bambino da parte dei suoi genitori e quindi degli oggetti-Sé, viene a generarsi una personalità narcisisticamente vulnerabile con forti esigenze esibizionistiche represse e di conseguenza con una predisposizione alla vergogna.

Nella relazione con un oggetto rifiutante il bambino non può scaricare liberamente la libido esibizionistica con conseguenze penose. Egli si ritroverà, ad ogni rifiuto genitoriale relativo al suo esibizionismo, a vivere il calore bruciante e spiacevole del rossore improvviso dell’epidermide e un sentimento penoso di vergogna, al posto di ciò che avrebbe vissuto tramite l’accettazione del Sé, ossia un piacevole calore soffuso della superficie corporea e la piacevole conferma del valore e della bellezza del proprio modo d’essere.

Il bambino che viene rifiutato ed umiliato da figure di accudimento amate si colpevolizzerà per il rifiuto subito sentendosi inadeguato. Il suo senso di inadeguatezza andrà ad intaccare la sfera psicocorporea poiché questa, in quanto identità, è la prima esperienza della propria soggettività; in tal senso l’accettazione genitoriale del suo Sé psicocorporeo è importantissima.

La vergogna si radica realmente nel corpo e nella psiche delle persone e lo fa talmente in profondità poiché ha a che fare con la storia della sperimentazioni delle potenzialità del nostro essere al mondo legate all’escrezione e alla sessualità.

L’adulto che nella sua vita ha problemi legati all’esperienza della vergogna è l’adulto che ha profondamente introiettato figure genitoriali pesantemente disprezzanti e moralistiche.

Tale adulto ha da bambino fatto esperienza diretta di rimproveri, giudizi, umiliazioni, svalutazioni, relative a funzioni legate soprattutto a esigenze e sperimentazioni corporee connesse a sfere intime; egli ha fatto esperienza di ciò che significa risultare agli occhi di chi si ama e di chi non si può fare a meno, costantemente insufficiente e comunque sempre al di sotto degli standard di comportamento richiesti.

Inoltre, un bambino che viene umiliano rispetto ad una funzione del suo corpo che non può controllare o semplicemente che non ha controllato in quel momento, subisce un vero e proprio trauma. Tale trauma ha un effetto disintegrante sulla personalità e viene sempre registrato nel corpo del soggetto.

Provare vergogna, sia da bambini che da adulti, espone ad una frammentazione del Sé, seppure una frammentazione momentanea, con un subitaneo crollo di autostima. Il soggetto si sente responsabile e questa responsabilità viene soggettivamente avvertita come incapacità, con conseguenti sentimenti di rabbia rivolti contro il Sé.

Il senso di vergogna intacca inevitabilmente e direttamente l’autostima. Quest’ultima è un’esigenza di base di ogni individuo relativa alla possibilità realizzativa di una vita affettiva, sociale, lavorativa e creativa.

Tali scopi fondamentali vengono frustrati dalla rappresentazione mentale della vergogna, che agisce persino in maniera anticipatoria frenando l’espansione del soggetto nella vita a tutela della sua fragile ed attaccabile autostima.

Al bambino, rifiutato e disprezzato, per uscire da tale penosa situazione non resta che fornirsi di un falso-Sé che collimi e corrisponda alla richiesta genitoriale e all’immagine ideale proiettatagli addosso.

Nell’evoluzione del processo che porta un bambino alla formazione di un falso-Sé si dispiega una seconda tragedia personale che lo vede specializzarsi nella capacità di negare i propri sentimenti.

Autore

Cristiana Gallo

Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi del Lazio con il numero 15468. Psicoterapeuta ed Analista Bioenergetica specializzata in Psicoterapia Individuale e di Gruppo. Grafologa.
Conduttrice di Esercizi di Bioenergetica e Insegnante Yoga.