Psicologia

Dissociazione: Analisi di una Difesa Estrema

Scritto da Cristiana Gallo

Quando ci si trova dinanzi ad una minaccia di dolore si può scegliere di lottare o di fuggire e questo dipende dalla situazione e dalla propria storia personale.

Se in alcuni casi, a fronte di un pericolo, prevale la paura con la cautela che spinge al ritirarsi, in altri casi si lotta e si da espressione alla collera.

Comunque accade sempre che, dove l’Io della persona è identificato con le sensazioni del corpo, è l’Io a garantire sia la possibilità di fuga dal pericolo, che un elemento di razionalità per la collera affinché sia sotto controllo cosciente.

Ci sono però situazioni che non lasciano possibilità di scelta e fanno sentire l’individuo in trappola. In quella trappola, dove l’individuo soccombe alla violenza dell’altro si genera un’eccitazione incontenibile che non permette più l’identificazione con le sensazioni del corpo, così accade che la paura diventa panico, si trasforma in terrore e cresce fino  a straripare al di là di ogni possibile contenimento.

La mente all’origine si compone di una serie di stati, essa non è un apparato unitario, piuttosto è un insieme di stati che si alternano in una dialettica continua.

Tale dialettica permette il mantenimento della necessaria e sana illusione dell’identità personale e della possibilità di fare esperienza del Sé. Quindi alle sue radici la dissociazione è una funzione adattativa della mente umana, che permette l’attuazione di quel processo atto a far funzionare gli stati del Sé in modo ottimale, laddove una realtà e un affetto troppo forti creano una sospensione della capacità autoriflessiva di un soggetto. Il processo dissociativo attua la migliore soluzione possibile.

La dissociazione è il mezzo attraverso il quale vengono mantenute, da tutti gli individui, il senso della continuità e coerenza personale e l’integrità del senso del Sé. Ed è solo quando questa illusione di continuità diviene troppo pericolosa per essere mantenuta, ossia quando emozioni e percezioni tra di loro incompatibili richiedono di essere elaborate all’interno di una stessa relazione, che il processo va oltre le capacità dell’individuo di contenerle in un’esperienza unitaria.

La dissociazione patologica è l’indebolimento difensivo della capacità riflessiva causata dal distacco della mente dal Sé.

Attraverso il distacco della mente dal Sé, si protegge quest’ultimo dalla frammentazione e l’individuo si riassetta su una nuova coesione dalla quale gli stati incompatibili sono stati staccati.

Tali elementi staccati ricompariranno come esperienze mentali discontinue e non narrabili consapevolmente. Infatti le esperienze dissociate non vengono comunicate a parole, ma possono essere osservate nei patterns di comportamento delle relazioni interpersonali.

Il vissuto traumatico sottopone l’individuo a sensazioni slegate dal contesto e riconducibili proprio a queste parti dissociate. Si evidenzia uno stato di terrore muto, durante il quale non è possibile descrivere il vissuto psichico ed emotivo.

La letteratura scientifica in materia ha dimostrato che le persone traumatizzate, durante la riattivazione del ricordo dissociato, rivivono l’evento come stesse succedendo nel presente, con la stessa intensità di quando è accaduto in passato, senza la possibilità di controllare la reazione, regolare l’emozione e ragionare sul ricordo, per poterlo poi comunicare all’altro in modo adeguato.

Quindi la dissociazione è un blocco preventivo della costruzione di significati, una prevenzione dell’elaborazione e dell’interpretazione nella consapevolezza riflessiva, piuttosto che l’esclusione difensiva dalla consapevolezza di significati già acquisiti. In tale ottica, rappresenta un’incapacità di riflettere sull’esperienza, non un evitamento inconscio di farlo.

Gli stati dissociativi divenuti patologici hanno la loro matrice nella sopravvivenza e, nei meccanismi ad essi insiti, non sono implicati elementi di scelta inconscia. Insomma, viene a sottolinearsi più l’aspetto deficitario che quello conflittuale. Dissociare è il restringimento dell’esperienza che il soggetto permette a se stesso di avere.

Se poi questa dissociazione è solo una frattura o se diviene rottura totale, dipende da svariati fattori valutabili unicamente caso per caso, tra i quali sicuramente incide l’età in cui avvengono le situazioni traumatiche.

Comunque, anche nei casi dei traumi lievi, l’organismo deve salvarsi dal sentire che lo paralizza e può farlo solo reprimendo lo stesso sentire, può negarlo o rimuoverlo e di conseguenza dissociarsi in qualche misura dal proprio corpo e dalla realtà, dissociandosi dalla propria paura, dalla propria rabbia, dal proprio senso di colpa, etc.

Le conseguenze della dissociazione vengono trascinate nell’età adulta e, anche se gli adulti possono realisticamente provvedere alle proprie necessità, quando si riaprono determinate ferite e viene risvegliata  la memoria psicocorporea del bambino violato, torna con inevitabile potenza la sensazione di non poter gestire ciò che viene ricordato come devastante.

L’adulto che ha congelato le devastazioni del trauma, evita di affrontare coscientemente il suo problema riaprendo la propria ferita poiché ne porta dentro il segno e la memoria infantile di incontenibilità. Affrontare qualcosa che si considera incontenibile e ingestibile rimette l’individuo dinanzi all’antico rischio di sopravvivenza.

La dissociazione è un meccanismo difensivo che protegge il mondo interno dal ricordo di memorie traumatiche infantili e dalle fantasie regressive innescate da esse. Nella mente di persone che hanno subito traumi infantili è come se ci fossero più organizzazioni interne di significato che non entrano in contatto fra loro a causa della difesa stessa.

Tale difesa comporta un ritiro dai sensi. Infatti, i suoi sintomi riflettono le ripercussioni sui sensi, della realtà somatica. Alcune combinazioni di questi sintomi possono essere trovati in un gran numero di disturbi.

I sintomi fondamentali relativi al meccanismo dissociativo sono: l’amnesia, la depersonalizzazione, la derealizzazione, la confusione dell’identità e l’alterazione dell’identità.

L’amnesia riguarda i buchi nella memoria dei ricordi, come ci fosse un tempo perduto.

La depersonalizzazione è la sensazione di distacco da se stessi fino a potersi guardare come farebbe un’altra persona.

La derealizzazione ha invece a che fare con la sensazione di distacco dall’ambiente che diventa estraneo e irreale.

La confusione dell’identità è una sensazione d’incertezza sulla propria identità, compresa quella sessuale. Infine,

L’alterazione dell’identità che riguarda cambiamenti effettivi e osservabili all’esterno, come ad esempio il cambio della voce.

Tali sintomi potranno costellarsi differentemente dando origine a differenti disagi.

Autore

Cristiana Gallo

Psicologa iscritta all’Albo degli Psicologi del Lazio con il numero 15468. Psicoterapeuta ed Analista Bioenergetica specializzata in Psicoterapia Individuale e di Gruppo. Grafologa.
Conduttrice di Esercizi di Bioenergetica e Insegnante Yoga.